Grace under fire

Ognuno ha il suo modo di (soprav)vivere al/il dolore. Le famiglie e gli amici delle vittime dell’attentato di Londra troveranno un modo. Per l’ “occasione”, i media di tutto il mondo hanno rispolverato un vecchio detto per descrivere l’attuale disposizione d’animo degli inglesi, già in uso durante la II°Guerra mondiale: «Grace under fire», «eleganza sotto il fuoco nemico».
Soffrire in silenzio, compostezza nel dolore; può essere un atteggiamento più o meno condivisibile, anche se personalmente credo che sia meglio sfogare tutto subito, toccare il fondo, piuttosto che rammendare l’angoscia e consumarsi giorno per giorno. Dipende dalle persone, dalla situazione e soprattutto dall’origine ed entità del male.
In ogni caso, ciò che penso sia sbagliato, è il diritto di arrogarsi il dolore, da parte dei mezzi d’informazione, dei Capi di stato esteri e di Tony Blair. Attenzione: con l’espressione “arrogarsi il dolore”, non nego che possa avvenire la sua condivisione, anzi; essa è a mio parere necessaria, e per chi vive la sofferenza (come esternazione, per ricevere sostegno da altri) e per chi cerca di condividerla (come presa di coscienza).
E’ sbagliato quando si cerca di fornire egoisticamente delle linee d’azione, quando si calca subito sul “reagire”. Per quel che mi riguarda, l’ «eleganza» l’ho vista solo nei vestiti che Blair indossava al G8 in Scozia, mentre si riempiva la bocca di parole quali “non aver paura”, “non ci piegheremo”, “combatteremo il Terrore”, non considerando e chiudendo gli occhi davanti al terrorismo istituzionale compiuto in questi anni dai suoi eserciti in Afghanistan e Iraq. Mi chiedo come faccia a dormire la notte.

«Sotto il fuoco nemico» ci sono finiti i cittadini londinesi,
  non lui.
«Sotto il fuoco nemico» stanno i civili iracheni, e afghani.

Forse potrà apparire retorico anche questo discorso. La differenza è che comunque io parlo e scrivo per me stesso e per quei pochi che mi leggono o ascoltano, senza avere l’onore/onere di rappresentare lo stato d’animo d’un Paese, e il dolore del suo popolo.

Vassilij Zait Self

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