NADJA

pg. 6
Chi sono io? Se per una volta mi rifacessi a un proverbio: in fondo potrei forse domandarmi semplicemente qui Je hante: chi frequento, chi infesto. Debbo riconoscere che questa espressione mi porta fuori strada […] Dice molto di più di quello che vuol dire, mi attribuisce da vivo il ruolo di un fantasma, implica evidentemente un’allusione a ciò che ho dovuto cessare di essere per essere colui che sono […] L’idea che ho di “fantasma” con quanto comporta di convenzionale, sia nell’aspetto, sia nella sua cieca subordinazione a certe contingenze di ora e di luogo, vale innanzitutto, per me, come immagine finita di un tormento che potrebbe essere eterno. Può darsi che la mia vita sia essa stessa un’immagine di questo genere, e che io sia condannato a tornare sui miei passi anche quando credo di esplorare, a cercare di conoscere quel che dovrei semplicemente riconoscere, a apprendere una piccola parte di ciò che ho dimenticato.

pg. 9
A proposito di Huysmans di “En rade” e di Là-Bas”:

Come gli sono grato per avermi informato, senza preoccuparsi dell’effetto, di tutto quanto lo riguarda, di quanto, in frangenti di angoscia estrema, occupa la sua mente con cose esterne alla sua angoscia, per non avere, come troppi poeti, “cantato” assurdamente questa angoscia, ma avermi enumerato pazientemente, nell’ombra, le infime ragioni involontarie che ancora trova in sé per essere – non sa bene per chi – colui che parla!

pg. 52
Che cosa è mai che traspare di così straordinario in quegli occhi? Che cosa vi si rispecchia oscuramente di sventura e luminosamente d’orgoglio?

“Nadja”, di André Breton.
traduzione di Giordano Falzoni ; prefazione di Domenico Scarpa.
Einaudi, 2007.

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