La Rosa di Gerico e il Conte di Montecristo

Un filo logico conduttore ha unito ultimamente questo magnifico fiore, che da luglio è sul mio davanzale, e il romanzo di Alexandre Dumas, che ho terminato di leggere in questi giorni.

La rosa di Gerico, il fiore originario della Palestina, e il Conte di Montecristo, il protagonista del libro di Dumas, hanno entrambi un implacabile istinto alla vita.

Per le sue caratteristiche, la pianta del deserto è pronta a far tesoro delle poche gocce d’acqua disponibili per rifiorire in un modo che ha del miracoloso.

Per quanto riguarda la storia travagliata e sublime di Edmond Dantès, dopo essere stato imprigionato ingiustamente evaderà e diverrà il Conte di Montecristo che porterà a compimento la sua vendetta, pervasa fino all’ultimo da una tensione misericordiosa.

Per dirla con le parole del Conte:

«… Ci vuole l’infelicità per scavare certe miniere misteriose nascoste nell’intelligenza umana; occorre la pressione per far scoppiare la polvere. La prigionia ha fatto convergere in un solo punto tutte le mie facoltà vaganti qua e là; esse si sono urtate in uno spazio angusto; e, come sapete, dallo scontro delle nuvole nasce l’elettricità, dall’elettricità il lampo, dal lampo la luce.»

oppure:

«… una volta fatto il sacrificio della propria vita, non si è più simili agli altri uomini, e chiunque ha preso questa risoluzione ha sentito centuplicarsi le forze e allargarsi il proprio orizzonte.»

e così..
dopodomani partirò per la Russia.

ed è un po’ come la pioggia che cade nel deserto e disseta la Rosa, e la fa fiorire.

ed è un po’ come il tesoro insperato trovato sull’isola di Montecristo da Edmond, che “prese a manciate i diamanti, le perle e i rubini che, come cascate sfavillanti, facevano nel ricadere gli uni sugli altri il rumore della grandine sui vetri.

aggiungo anche due proverbi Tuareg, che accompagneranno questo ramingo viandante errante, nuovamente distante, verso l’Oriente:

Parti di prima mattina, all’inizio del giorno: raggiungerai colui che insegui, sfuggirai a colui che ti perseguita.


Mettiti in cammino anche se l’ora non ti piace.
Quando arriverai, l’ora ti sarà comunque gradita.

da svidànija.
(arrivederci, in russo)

vassilij zait self

Linea 2


LA ROSA DI GERICO

di Predrag Matvejevic

Girai per la Palestina in cerca della pianta che nel Talmud è detta samara. Non riuscii a trovarla, ma non la dimentico affatto. Si tratta probabilmente di una pianta molto rara. I vecchi rabbini dicono che non è scomparsa.
In essa si può soltanto credere.
Volevo trovare pure la “Rosa di Gerico”, dagli arabi detta zahrat ariha. E’ quasi sempre nascosta. Il sole la secca, il vento la fa sparire. Il deserto la espone al sole e al vento salvandola dall’uno e dall’altro. la rosa di Gerico si trasforma in una briciola simile a un insetto morto; e così, a dispetto di tutto, riesce a sopravvivere. Talvolta vive per una decina d’anni.
I Beduini la riconoscono fra i granellini di sabbia, la estraggono e la conservano. Senza di loro non l’avrei vista mai.
Quando finalmente viene a trovarsi in vicinanza dell’acqua, si disseta e si gonfia. Diventa allora turgida e piena, simile alle nascoste pudende di una nera bellezza africana.
La rosa di Gerico e il suo vagabondare dimostrano che il nomadismo sta nella stessa natura. Non è una chimera del Mediterraneo.

Ciò che segue è tratto invece dal foglietto di istruzioni che era assieme alla confezione della Rosa, quando l’ho acquistata:

La leggenda narra che la Vergine Maria, sulla strada di Nazareth, si dissetò con l’acqua in essa racchiusa e, grata alla pianta, la benedì rendendola immortale. Potrebbe essere solo fantasia, ma chi scorge per la prima volta questa mutevole pianta non può che stupirsi dinanzi allo straordinario istinto alla vita che essa possiede.


IL CONTE DI MONTECRISTO

di Alexandre Dumas

Le ferite mortali hanno questo di particolare, che si nascondono, ma non si rimarginano; sempre dolorose, sempre pronte a sanguinare quando si toccano, rimangono vive e aperte nel cuore.
Gli uomini veramente generosi sono sempre pronti a diventare misericordiosi, quando la disgrazia del nemico oltrepassa il limite del loro odio.

E il conte, temendo di cedere alle lacrime di colei che aveva tanto amato, chiamava in soccorso del suo odio i ricordi del passato.

Mercedes mandò un grido che fece sgorgare dagli occhi di Montecristo due lacrime, che scomparvero quasi subito, poiché senza dubbio Dio aveva inviato un angelo per raccoglierle, come più preziose per Lui delle ricche perle di Guzerate e d’Ofir.

«… Ciò che ho amato di più dopo di voi, Mercedes, è me stesso, vale a dire la mia dignità, quella forza che era la mia vita.
Con una parola, voi la spezzate. Io muoio.»

Quindi andò a letto, addormentandosi subito di quel sonno invincibile in cui l’uomo di vent’anni cade sempre, anche quando ha rimorsi.

Vi sono situazioni che gli uomini afferrano per istinto senza rendersene conto: il più grande poeta, in questo caso, è colui che manda il grido più veemente e più naturale. La folla prende quel grido per un intero racconto, e ha ragione di accontentarsene, e più ragione ancora di trovarlo sublime, quando è vero.

Giunto al massimo della sua vendetta per il lento e tortuoso declivio che aveva seguito, aveva visto, dall’altra parte della montagna, l’abisso del dubbio. Vi era di più: il colloquio con Mercedes aveva risvegliato in lui tanti ricordi che avevano bisogno di essere combattuti. Un uomo dell’indole del conte non poteva fluttuare a lungo in quella malinconia che può far vivere gli spiriti volgari, dando loro un’apparente originalità, ma che svigorisce le anime superiori.

“Mio Dio,” lesse Montecristo “conservatemi la memoria.”

«Amico,» disse Montecristo «è una presunzione della nostra povera umanità quella per cui un uomo si crede sempre più disgraziato di un altro che piange e dispera vicino a lui.»

… : non vi sono né felicità né infelicità assolute in questo mondo, vi è soltanto il paragone tra una condizione e l’altra, ecco tutto. Solo colui che ha provato l’estremo dolore è atto a gustare la più grande felicità. Bisogna aver desiderato la morte, Maximilien, per sapere quanto è bello vivere. Vivete, dunque, e siate felici, figli prediletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all’uomo i segreti dell’avvenire, tutta la saggezza umana sarà riposta in queste due parole: Aspettare e sperare.
Il vostro amico

Edmond Dantès, Conte di Montecristo

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