MOHANDAS GANDHI: DUE TIPI DI FORZA

Due tipi di forza possono sorreggere una petizione. Si puo’ dire:
"Se non ci darete questo ci solleveremo contro di voi"; questo e’ un tipo di forza, la forza delle armi, e abbiamo gia’ esaminato i risultati dannosi che produce.
Oppure si puo’ dire: "Se non darete soddisfazione alle nostre richieste noi cesseremo di sentirci in dovere di rivolgervi delle richieste. Potete governarci soltanto fino a che noi accettiamo di continuare ad essere governati; non avremo piu’ nulla a che fare con voi".
Tale forza puo’ essere definita forza dell’amore o forza dell’anima o, in modo piu’ largamente comprensibile ma meno appropriato, resistenza passiva. Questa forza e’ indistruttibile. Colui che la usa comprende perfettamente la propria posizione.
Noi abbiamo un antico proverbio che letteralmente suona:
"Una negazione cura trentasei malattie". La forza delle armi e’ impotente di
fronte alla forza dell’amore o dell’anima.

MOHANDAS GANDHI

come accade leggendo anche  "L’arte della guerra", di Sun-Tzu, si scopre che questi modi di pensare, e di agire, valgono e sono applicabili non solo su piano esteriore-sociale (guerre o conflitti fra eserciti, stati, partiti, aziende, gruppi, ecc..), ma anche nella vita di ciascuno singolo individuo, su un piano interiore-interpersonale (casa, lavoro, scuola, affetti,..).
sembrerà una banalità, ma non è detto che il passaggio sia sempre scontato.

peace, zaitself

La perla di K. Gibran

Disse un’ostrica ad un’altra ostrica sua vicina:
"Ho dentro di me un grande dolore.
È qualcosa di pesante e tondo,
ed io sono allo stremo!".
Replicò l’altra con altezzoso compiacimento:
"Sia lode ai cieli ed al mare,
io non ho nessun dolore in me.
Sto bene e sono sana dentro e fuori!".
In quel momento passava un granchio
e udì le due ostriche,
e disse a quella che stava bene
ed era sana dentro e fuori:
"Sì, tu stai bene e sei sana,
ma il dolore che la tua vicina porta in sé
è una perla di straordinaria bellezza!"…

Kahlil GIBRAN
tratto da "Il vagabondo"

Un’ostrica che non è stata ferita non produce perle.
Perle sono prodotti del dolore, risultati dell’entrata di una
sostanza estranea o indesiderabile nell’interno dell’ostrica,
come un parassita o un granello di sabbia.
Nella parte interna della conchiglia esiste una sostanza
luccicante chiamata nácar.
Quando il granello di sabbia penetra, le cellule di nácar
cominciano a lavorare e coprire lentamente il granello
con sottilissimi strati d’iridescente madreperla, per
proteggere il corpo indifeso dell’ostrica. Come risultato,
una bella perla si formerà lì nel suo interno.
Ne consegue che un’ostrica che non è stata ferita,
mai produrrà perle,
perché la perla è una ferita cicatrizzata.

peace,
vassilij zaitself

La Rosa di Gerico e il Conte di Montecristo

Un filo logico conduttore ha unito ultimamente questo magnifico fiore, che da luglio è sul mio davanzale, e il romanzo di Alexandre Dumas, che ho terminato di leggere in questi giorni.

La rosa di Gerico, il fiore originario della Palestina, e il Conte di Montecristo, il protagonista del libro di Dumas, hanno entrambi un implacabile istinto alla vita.

Per le sue caratteristiche, la pianta del deserto è pronta a far tesoro delle poche gocce d’acqua disponibili per rifiorire in un modo che ha del miracoloso.

Per quanto riguarda la storia travagliata e sublime di Edmond Dantès, dopo essere stato imprigionato ingiustamente evaderà e diverrà il Conte di Montecristo che porterà a compimento la sua vendetta, pervasa fino all’ultimo da una tensione misericordiosa.

Per dirla con le parole del Conte:

«… Ci vuole l’infelicità per scavare certe miniere misteriose nascoste nell’intelligenza umana; occorre la pressione per far scoppiare la polvere. La prigionia ha fatto convergere in un solo punto tutte le mie facoltà vaganti qua e là; esse si sono urtate in uno spazio angusto; e, come sapete, dallo scontro delle nuvole nasce l’elettricità, dall’elettricità il lampo, dal lampo la luce.»

oppure:

«… una volta fatto il sacrificio della propria vita, non si è più simili agli altri uomini, e chiunque ha preso questa risoluzione ha sentito centuplicarsi le forze e allargarsi il proprio orizzonte.»

e così..
dopodomani partirò per la Russia.

ed è un po’ come la pioggia che cade nel deserto e disseta la Rosa, e la fa fiorire.

ed è un po’ come il tesoro insperato trovato sull’isola di Montecristo da Edmond, che “prese a manciate i diamanti, le perle e i rubini che, come cascate sfavillanti, facevano nel ricadere gli uni sugli altri il rumore della grandine sui vetri.

aggiungo anche due proverbi Tuareg, che accompagneranno questo ramingo viandante errante, nuovamente distante, verso l’Oriente:

Parti di prima mattina, all’inizio del giorno: raggiungerai colui che insegui, sfuggirai a colui che ti perseguita.


Mettiti in cammino anche se l’ora non ti piace.
Quando arriverai, l’ora ti sarà comunque gradita.

da svidànija.
(arrivederci, in russo)

vassilij zait self

Linea 2


LA ROSA DI GERICO

di Predrag Matvejevic

Girai per la Palestina in cerca della pianta che nel Talmud è detta samara. Non riuscii a trovarla, ma non la dimentico affatto. Si tratta probabilmente di una pianta molto rara. I vecchi rabbini dicono che non è scomparsa.
In essa si può soltanto credere.
Volevo trovare pure la “Rosa di Gerico”, dagli arabi detta zahrat ariha. E’ quasi sempre nascosta. Il sole la secca, il vento la fa sparire. Il deserto la espone al sole e al vento salvandola dall’uno e dall’altro. la rosa di Gerico si trasforma in una briciola simile a un insetto morto; e così, a dispetto di tutto, riesce a sopravvivere. Talvolta vive per una decina d’anni.
I Beduini la riconoscono fra i granellini di sabbia, la estraggono e la conservano. Senza di loro non l’avrei vista mai.
Quando finalmente viene a trovarsi in vicinanza dell’acqua, si disseta e si gonfia. Diventa allora turgida e piena, simile alle nascoste pudende di una nera bellezza africana.
La rosa di Gerico e il suo vagabondare dimostrano che il nomadismo sta nella stessa natura. Non è una chimera del Mediterraneo.

Ciò che segue è tratto invece dal foglietto di istruzioni che era assieme alla confezione della Rosa, quando l’ho acquistata:

La leggenda narra che la Vergine Maria, sulla strada di Nazareth, si dissetò con l’acqua in essa racchiusa e, grata alla pianta, la benedì rendendola immortale. Potrebbe essere solo fantasia, ma chi scorge per la prima volta questa mutevole pianta non può che stupirsi dinanzi allo straordinario istinto alla vita che essa possiede.


IL CONTE DI MONTECRISTO

di Alexandre Dumas

Le ferite mortali hanno questo di particolare, che si nascondono, ma non si rimarginano; sempre dolorose, sempre pronte a sanguinare quando si toccano, rimangono vive e aperte nel cuore.
Gli uomini veramente generosi sono sempre pronti a diventare misericordiosi, quando la disgrazia del nemico oltrepassa il limite del loro odio.

E il conte, temendo di cedere alle lacrime di colei che aveva tanto amato, chiamava in soccorso del suo odio i ricordi del passato.

Mercedes mandò un grido che fece sgorgare dagli occhi di Montecristo due lacrime, che scomparvero quasi subito, poiché senza dubbio Dio aveva inviato un angelo per raccoglierle, come più preziose per Lui delle ricche perle di Guzerate e d’Ofir.

«… Ciò che ho amato di più dopo di voi, Mercedes, è me stesso, vale a dire la mia dignità, quella forza che era la mia vita.
Con una parola, voi la spezzate. Io muoio.»

Quindi andò a letto, addormentandosi subito di quel sonno invincibile in cui l’uomo di vent’anni cade sempre, anche quando ha rimorsi.

Vi sono situazioni che gli uomini afferrano per istinto senza rendersene conto: il più grande poeta, in questo caso, è colui che manda il grido più veemente e più naturale. La folla prende quel grido per un intero racconto, e ha ragione di accontentarsene, e più ragione ancora di trovarlo sublime, quando è vero.

Giunto al massimo della sua vendetta per il lento e tortuoso declivio che aveva seguito, aveva visto, dall’altra parte della montagna, l’abisso del dubbio. Vi era di più: il colloquio con Mercedes aveva risvegliato in lui tanti ricordi che avevano bisogno di essere combattuti. Un uomo dell’indole del conte non poteva fluttuare a lungo in quella malinconia che può far vivere gli spiriti volgari, dando loro un’apparente originalità, ma che svigorisce le anime superiori.

“Mio Dio,” lesse Montecristo “conservatemi la memoria.”

«Amico,» disse Montecristo «è una presunzione della nostra povera umanità quella per cui un uomo si crede sempre più disgraziato di un altro che piange e dispera vicino a lui.»

… : non vi sono né felicità né infelicità assolute in questo mondo, vi è soltanto il paragone tra una condizione e l’altra, ecco tutto. Solo colui che ha provato l’estremo dolore è atto a gustare la più grande felicità. Bisogna aver desiderato la morte, Maximilien, per sapere quanto è bello vivere. Vivete, dunque, e siate felici, figli prediletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all’uomo i segreti dell’avvenire, tutta la saggezza umana sarà riposta in queste due parole: Aspettare e sperare.
Il vostro amico

Edmond Dantès, Conte di Montecristo

Milano, Le Notti Bianche e la Variabile Z

Questa sera a Milano prima Notte bianca del 2006, con lancette spostate avanti di un’ora..

Un filo sottile sembra unire Dostoevskij alla mia repulsione per le mondane notti bianche milanesi. Il romanzo di D. “Le notti bianche” è la Variabile indipendente X che influisce sulla “Notte bianca milanese”, Variabile dipendente Y, in una relazione diretta di causa-effetto:

X ——> Y

Romanzo di D. ——> noia x la Notte bianca di Milano

Tuttavia l’effetto “noia, repulsione” (ke a brevissimi tratti e in rare punte diviene “nausea”, come quella di Sartre, per intenderci; un mio caro amico filosofo perugino ebbe a spiegarmi poco tempo fa la differenza tra noia e nausea, quest’ultima ben più devastante) non sarebbe prodotto se non grazie all’inferenza di Z, per l’appunto Variabile interveniente, ke in questa sede non espliciterò. Per cui la relazione diviene indiretta:

X —> Z —> Y

dove Z rappresenta la Variabile interveniente incognita

Riflettendoci meglio – e applicando rigor statistico – Z influenza certamente Y, ma produce effetti anche su X. Le covariazioni delle Variabili X e Y (rispettivamente il Romanzo di D. e “noia per la Notte bianca di Milano”) sono quindi “spurie”: si possono ritenere effetto della relazione che le due variabili intrattengono con la Variabile Z, rinominata correttamente Fattore latente (“Elaborazione alla luce di una 3° variabile”, di Lazarsfeld):

        —->      X

Z

        —->      Y



dove Z rappresenta il Fattore latente incognito

Il risultato è che malauguratamente non ho mai letto il romanzo di Dostoevskij, ne mai partecipato con spensieratezza a nessuna notte bianca di Milano.

peace,

vassilij z. s.

P.S. X, Y e Z sono interrelate con la Variabile dipendente osservata S, dove “S” sta per “Sacrificio” e dipende dalle tre Variabili X,Y,Z.
Z rimane latente e incognita.. ma è pur sempre la Variabile indipendente scatenante e primordiale di X, Y e S.

P.P.S. Esplicitiamo la Variabile X, ossia “Le notti bianche” di Dostoevskij.
Seguono commenti e recensioni di lettori del romanzo di D. tratti tempo addietro da imprecisati siti web.

“Le notti bianche” è un romanzo breve che Dostoevskij
ha scritto nel suo periodo “romantico”. La vicenda è
ambientata a Pietroburgo, una città che dalla
descrizione dell’autore appare tetra, cupa, quasi
inanimata. A rompere il silenzio irrompe sulla scena
Nasten’ka, una giovane donna che oltre che insinuarsi
nel buio della città si insinua nella vita
perennemente trasognata e vuota del protagonista, vera
e propria personificazione del “sognatore”, figura
cara a Dostoevskij, il quale è come risvegliato dalla
passionalità, dalla capacità di creare emozioni della
giovane. Questo romanzo si legge velocemente e
colpisce da subito, come per molti altre opere
dell’autore Russo la scrittura è fluida e i dialoghi
perfetti, profondi, mai banali. Da questo libro è
stato tratto anche un film girato da Luchino Visconti,
ma certamente l’originale cartaceo rimane
irraggiungibile. Non consigliabile a chi cerca la
classica storiella d’amore, ma un libro per chi ama la
grande letteratura Russa di fine ‘800.

Ambientato a San Pietroburgo, un ragazzo russo 26enne
ha passato la giovinezza abbandonandosi a sè stesso e
ai suoi sogni, senza conoscere persone. Una notte, il
caso fa incontrare il giovane con una ragazza 17enne,
Nasten’ka. Nei suoi discorsi parla del suo passato,
raccontando appunto i suoi sogni, e definendosi un
sognatore, un eroe solitario. Ben presto si innamora
della giovane, anche quando scopre che nel cuore di
lei vi è un altro. Egli non smette mai di amarla,
celando la passione nel suo animo. Una storia corta,
quasi teatrale, ma che è coinvolgente, eccitante, che
necessita di un finale, seppur drammatico. Un amore
tradito, perso, sparito, volatilizzato e ritornato
nell’oscurità. Fedor Dostoevskij è riuscito a
realizzare un proprio ritratto dei suoi anni ancora
immaturi, giovani. Prima di conoscere la morte della
prigione che lo trasformò in un altro uomo, maturo, ma
spaventato.

“Le notti bianche” è davvero un libro poetico e
coinvolgente, seppure breve (l’edizione che ho io è di
38 pagine), l’ambientazione notturna dá ancora più
intensitá alla narrazione (il critico Steiner diceva
di Dostoevskij: ”Sfrutta il tempo della notte come se
si trattasse del giorno”), inoltre si legge bene
perché ci sono poche descrizioni e tanti dialoghi
(sempre Steiner, diceva: ”L’unica cosa che gli
interessa [all’autore] è lo splendore dell’esperienza
umana illuminata dalla luce ardente del conflitto. Il
discorso diretto, da un’anima all’altra, o dall’anima
con sé stessa, è il suo strumento costante”).
E visto che sono in vena di citazioni, potrei anche
riportare le osservazioni su Dostoevskij dello
studioso Michail Bachtin (tanto più noiosa di così non
potrei essere, giusto?): ”L’autore non porta a
compimento il dialogo, non dá la sua soluzione; egli
presenta il pensiero umano nel contraddittorio e
incompiuto divenire..”
Adesso la smetto per davvero; prima però, dedicato a
xyz….
“TUTTO CIÒ CHE VEDIAMO O SEMBRIAMO NON È ALTRO CHE UN
SOGNO IN UN SOGNO..” (Edgar Allan Poe)

PS: mi dimenticavo… le notti sono ”bianche” per il
fenomeno delle aurore boreali che illuminano il cielo
di Pietroburgo in primavera e in estate, lasciando
solo mezz’ora di buio e dando alla città un’immagine
magica e un po’ irreale… proprio come questa storia….