Un pensiero pronunciato è una menzogna

Silentium! (Fëdor Ivanovič Tjutčev)

Taci, appartati e nascondi
I tuoi sentimenti e i tuoi sogni –
Lascia che nella profonda anima
essi s'innalzino e tramontino
Muti come stelle nella notte,
Ammirali – e taci.
Potrà mai un cuore esprimersi del tutto?
E un altro, potrà mai capirti?

Comprendere il senso della tua vita…
Un pensiero pronunciato è una menzogna.
Una sorgente mossa è offuscata,
Alimentatene – e taci.
Sappi vivere solo di te stesso.
Nella tua anima c'è un mondo intero
Di segreti e magici pensieri;
Assordati dal frastuono esterno,
Accecati dai raggi del giorno,
Ascolta il loro canto – e taci!

Silentium! (Фёдор Иванович Тютчев)
Молчи, скрывайся и таи
И чувства и мечты свои –
Пускай в душевной глубине
Встают и заходят оне
Безмолвно, как звезды в ночи, —
Любуйся ими – и молчи.

Как сердцу высказать себя?
Другому как понять тебя?
Поймет ли он, чем ты живешь?
Мысль изреченная есть ложь.
Взрывая, возмутишь ключи, —
Питайся ими – и молчи.

Лишь жить в себе самом умей —
Есть целый мир в душе твоей
Таинственно-волшебных дум;
Их оглушит наружный шум,
Дневные разгонят лучи, —
Внимай их пенью – и молчи!

L'odio, di WISLAWA SZYMBORSKA

L'odio


Guardate com’e' sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilita' supera gli ostacoli.
Come gli e' facile avventarsi, agguantare.

Non e' come gli altri sentimenti.
Insieme piu' vecchio e piu' giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non e' mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.

Religione o non religione –
purche' ci si inginocchi per il via.
Patria o no –
purche' si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.

Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
puo' contare sulle folle?
La compassione e' mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.

Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?

Diciamoci la verita':

sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile e' il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.

E’ un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.

In ogni istante e' pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspettera'.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
– lui solo.

 
*

WISLAWA SZYMBORSKA

MENTRE CI PENSO UN PO'

il tuo sapermi veleggia nella quiete del mon(do)

ora vado dove non ti cerco
ora vado dove non ti cerco

proverò anche a sparire
così forse non ti perdo

ora vado dove non ti cerco

cos’altro posso dire
canto come non ti sento

mentre ci penso un pò
mentre ci penso un pò
mentre ci penso un pò
….

il nostro tempo rimane la
dove finisce la musica
ora vado dove non ti cerco

mentre ci penso un pò
mentre ci penso un pò
mentre ci penso un pò
….

"Mentre ci penso un pò". Dj Gruff – Sandro O B.  2009.

pezzo stupendo. zaitself

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Di me t’inganna l’aspetto distrutto
e svigorito della carne,
l’ingombro del dolore,
la pazienza imperturbabile
della gente sconfitta.

Convive con la sequela dei mali
una non sofferta solitudine.
Vano è cercare negli altri
la propria realtà.

Di questa vita sorda,
rattrappita, rimarrà solo
ciò che conquisto
con le lame affilate
della mia sofferenza.

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Autoritratto,
di MARIA TERESA SANTALUCIA SCIBONA

DA «FLAUTO DI VERTEBRE»


… Dimenticherò l’anno, la data, il giorno della settimana.
A chiave mi chiuderò, con un foglio di carta soltanto.
Adémpiti, o magia sovrumana
delle sillabe illuminate di pianto!

Appena entrato nella tua abitazione,
Oggi mi sono sentito a disagio.
Avevi nascosto qualcosa nella tua blusa di raso
e s’aggirava nell’aria un lento profumo d’incenso.
Ti ho chiesto se eri contenta:
Mi hai risposto due sillabe fredde:
tanto.
L’inquietudine ha rotto le dighe della ragione,
ed accumulo il cruccio in un delirio di febbre.

Ascolta.
Non è possibile
che tu riesca a celare il cadavere.
Gettami in viso la parola terribile.
Perché non vuoi udire?
Non senti
che ogni tuo nervo contorto
urla come una tromba di vetro:
L’amore è morto –
L’amore è morto…
Ascolta.
Rispondimi senza mentire
(come farò andare indietro?)…

Come due fosse
in viso ti si scavano gli occhi.

Le due tombe sprofondano.
Non se ne vede più il fondo.
Cadrò dall’impalcatura dell’ore!

L’anima ho teso come una fune sul precipizio,
e v’ho danzato, acrobata-equilibrista,
giocoliere delle parole.

Lo so
che s’è di già consumato l’amore.
Ormai a più d’un segno vi riconosco la noia.
Ritornami giovane in cuore!
All’anima

… cuore!
All’anima insegna di nuovo del corpo la gioia

Lo so,
si paga sempre per una donna.
Che importa? La vestirò,
come dentro una gonna,
invece d’una toeletta
comprata a Parigi,
col fumo della mia sigaretta.

Recherò l’amor mio
per mille strade distanti,
come recavano gli antichi apostoli Dio.
Da secoli t’ho preparato un diadema,
costellato di sillabe vivide
in arcobaleni di brividi.
Come i giganteschi elefanti che valsero la vittoria di Pirro,
a te io sconvolsi con la zampa del genio il cervello.
Inutilmente: di te
non avrò nemmeno un brandello.

Gioisci,
gioisci,
che finalmente mi hai dato
il colpo mortale!

Io desidero
fuggire al canale
per mettere il capo nella mandibola liquida!

Mi hai offerto le labbra.
Rozze erano ed umide.
Le ho appena sfiorate e m’hanno agghiacciato,
come se in pentimento avessi baciato
un monastero tagliato nella pietra ruvida.

Hanno sbattuto la porta.
Egli è entrato,
rorido dell’allegria delle vie.
Io mi sono spezzato
con un gemito in due.
Gli ho detto:
va bene,
andrò via.
Va bene,
sia tua.
Coprila di cenci, se vuoi
che pieghino sotto la seta le fragili ali di vetro.
Bada che può fuggirsene a nuoto.
Attaccale al collo
una collana di perle come una pietra!

Che notte
stanotte!
Il mio cruccio ha spremuto con forza sempre maggiore.
A sentire le mie risate e i singhiozzi
il muso della mia camera ha fatto una smorfia d’orrore.

Luce riflessa dai tuoi occhi
… dai tuoi occhi sopra il tappeto,
si levò la tua effige quasi immagine magica,
come se un altro Biàlik evocasse in segreto
una favolosa regina per la nuova Sion ebraica.

Nel supplizio della passione
ora piego i ginocchi e la testa
dinanzi a colei che fu mia.
A mio paragone
Re Alberto,
che ha arreso tutte le sue piazzeforti,
è come se ricevesse regali per la sua festa.

Indoratevi ancora nell’erba e nel cielo sereno!
O vita, rifà primavera dalle tue mille fibre diverse!
Non voglio ormai che un veleno:
bere, sempre bere i miei versi.

Tutto mi rubasti col cuore,
e non mi lasciasti che il fardello della disdetta.
L’anima mi lacerasti come in un rovo.
Accetta il mio dono , o diletta:
forse non inventerò altro di nuovo.

Nei quaderni dei tempi
scrivete la data d’oggi a lettere d’oro!
Adémpiti,
magia simile alla passione di Cristo.
Guardate:
sulla carta son crocifisso
coi chiodi delle parole.

V. Majakovskij

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Da «FLAUTO DI VERTEBRE»

La poesia tratta da "Il fiore del verso russo" – un’antologia di autori e poesia russa del Novecento a cura di Renato Poggioli,
edito da Passigli – Firenze – Antella

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